Il microrganismo responsabile di questa temuta infezione è la Clamydia psittaci alla quale possono essere sensibili tutte le specie di pappagalli, con una maggiore predisposizione tuttavia dei pappagalli sudamericani come le Are e le Amazzoni, rispetto ai volatili dell’Australia o dell’Asia. La Clamydiosi è considerata fra le più importanti zoonosi associate agli uccelli, ossia malattia trasmissibile da questi animali all’uomo.
L’infezione avviene con l’assunzione per via inalatoria o orale dei cosiddetti “corpi elementari” dispersi dai pappagalli ammalati con le feci, specialmente dopo che queste sono essiccate e si sono polverizzate, o tramite gli scoli oculo-nasali. Il periodo di incubazione nei pappagalli è di circa 40 giorni, ma alcune volte può estendersi addirittura ad alcuni anni.
La sintomatologia, che è molto variabile in relazione al maggiore o minore potere patogeno del microrganismo, comprende comunque sempre arruffamentodella livrea, abbattimento, respiro rantoloso ed affannato, congiuntivite, sinusite, feci acquose e può portare a morte dell’individuo colpito nell’arco di un paio di settimane.
I farmaci d’elezione per il trattamento della Clamydiosi appartengono agli antibiotici della famiglia delle Tetracicline perchè esse bloccano la replicazione della Clamydia.
Dietro prescrizione veterinaria si può somministrare al pappagallo infetto Doxiciclina per via intramuscolare alla dose di 100 mg/kg di peso ogni 7 giorni per un mese e mezzo. A titolo preventivo invece, o nei volatili esposti al contagio, si può somministrare la Doxiciclina in ragione dell’1% mescolata al cibo, nei pastoni o con i semi cotti.
La prevenzione si effettua eseguendo un rigoroso controllo di tutti i soggetti nuovi introdotti, e soprattutto con la regolare e quotidiana pulizia delle lettiere onde impedire l’essiccamento e la polverizzazione degli escrementi.
Dott. Marco Gentile
Medico Veterinario
Albo 1622 Torino