Latrodectus matans è il nome latino della vedova nera, e letteralmente la traduzione ha un significato sinistro ed inquietante: “che morde di nascosto uccidendo”!
Contrariamente ad altri ragni, che sono gestiti come insoliti animali da compagnia, la vedova nera è il solo ragno europeo davvero pericoloso e di fatto, come dice il suo nome scientifico, quando il ragno morde la sua vittima essa non se ne accorge poiché le reazioni dell’organismo compaiono dopo almeno un quarto d’ora.
Maschio e femmina hanno misure corporee diverse: la femmina è grande 15 mm, il maschio invece è piccolissimo, di 3-4 mm. Il colore è nero ma si possono osservare chiazze rossastre irregolari sull’opistosoma. La vedova nera è diffusa in tutto il mondo, mancando soltanto all’estremo nord degli Stati Uniti d’America. Si conoscono almeno una decina di specie, ed esse abitano gli ambienti più diversi, benché prediligano i terreni asciutti, esposti al sole e di scarsa e bassa vegetazione. Spesso inoltre abitano i campi di frumento, segale, orzo. Il nome di vedova nera dipende dal fatto che la femmina dopo l’ accoppiamento avvolge il maschio nella sua ragnatela e lo uccide per poi mangiarlo, ma questo comportamento tutt’altro che esclusivo del Latrodectus spp. è molto frequente fra i ragni.
Per evitare di essere morsi dalla vedova nera dobbiamo fare attenzione alle ragnatele presenti ai margini dei sentieri, fra le pietre dei muretti, nei fienili, o nelle cataste di legna. Questo ragno peraltro non aggressivo morde soltanto se minacciato da urti occasionali col suo corpo o se viene disturbato mentre difende la covata delle proprie uova. Solo la femmina possiede artigli veleniferi in grado di penetrare la cute umana iniettandovi il veleno.
Il potente veleno della vedova nera è costituito da Alfa-Latrotossina, una proteina attiva sul sistema nervoso periferico (neurotossina). Il punto della morsicatura è pressochè invisibile, al massimo indicato da due piccolissimi puntini rossi. Dopo un quarto d’ora dal morso la persona avverte un dolore via via crescente ai linfonodi ascellari o inguinali, diffondendosi in modo lancinante ed insopportabile agli arti superiori o alle gambe ed ai piedi. Il soggetto aggredito non riesce più a reggersi in piedi e si accascia al terreno in preda a contrazioni e non riuscendo a trattenere forti urla. Spesso suda profusamente e la respirazione diviene accelerata ma superficiale. Anche le palpebre degli occhi si gonfiano e si ha aumento della salivazione con nausea e vomito. Molto importante, in tali casi, è il non farsi prendere dal panico: il veleno non è assolutamente mortale e la prognosi è sempre ottima anche se non si effettua una terapia. L’unica terapia sarebbe il ricorso ad un antisiero, da inoculare per via endovenosa o intramuscolare previo ricorso ad un Pronto Soccorso.
Dott. Marco Gentile
Medico Veterinario
Albo 1622 Torino