Secondo molti giardinieri, l’inizio della primavera è il momento migliore per procedere a ringiovanire un arbusto che sta declinando con gli anni, ma per altri può essere anche l’autunno, specialmente se il clima non è troppo rigido. In ogni caso, è meglio riflettere fin d’ora sui motivi e sulle tecniche consigliate per ottenere lo scopo prefisso. Potrà sembrare un intervento fin troppo drastico, che poi richiede qualche anno di attesa, ma uno dei metodi più comunemente indicati è quello della rimozione totale dei rami, riducendoli ad un’altezza di una dozzina di cm da terra. Quando la linfa riprenderà a salire dalle radici, dopo il periodo di dormienza, la pianta sarà forzata a sviluppare un nuovo sistema di getti, che si presenta assai più vigoroso e dotato di un apparato radicale ben consolidato, così che un’energia assai più consistente provvederà a rinnovare i fusti e il fogliame. Va però subito aggiunto, a grandi lettere, che questa tecnica è tanto eccellente per gli arbusti, quanto pessima per gli alberi ornamentali: il capitozzo, infatti, è ormai universalmente rigettato perché è causa di problemi infiniti e, in definitiva, della morte di molti alberi. Il ringiovanimento radicale dell’arbusto è particolarmente raccomandato nel caso in cui il soggetto sia ‘filato’ verso l’alto o quando la chioma si è talmente infittita che i rami basali ne sono costantemente adombrati. In questo caso, l’intervento consentirà al sole di colpire le gemme più basse, così che l’arbusto si rinfoltirà più facilmente. Se però decidete di ringiovanire arbusti che fioriscono in primavera (lillà, spiree, viburni ecc.), occorre ricordare che per almeno un anno dovrete rinunciare ai loro fiori. Potrete però scegliere alcuni rami da conservare per la fioritura e tagliarne altri, rinviando all’anno successivo la medesima operazione per tagliare drasticamente i primi.
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